Requiem per due serve

drammaturgia di FABIO BRESCIA
regia di GERARDO D’ANDREA
con FABIO BRESCIA, STEFANO ARIOTA e  FRANCO IAVARONE
musiche PAOLO COLETTA
organizzazione TIZIANA BEATO
scene di CARMINE DE MIZIO
costumi ALESSANDRA GAUDIOSO

Esiste un posto, nella Francia del secolo scorso (ma in effetti, senza tempo); un posto che, al di là delle apparenze confortevoli, somiglia moltissimo a tutti gli altri in cui si trama nell’ombra, covando sentimenti corrosivi come l’ammirazione morbosa, l’invidia e infine l’odio; le ossessioni sono cieche e, in quanto tali, possono spingere talune persone ben oltre i limiti della decenza e dell’immaginazione.

Ecco, è proprio là che Jean Genet nel 1946 ambienta il suo famoso dramma, l’atto unico Le serve (Les Bonnes), ispirato a un delitto di cronaca vera talmente spaventoso da sconvolgere l’intero Paese.

A Les Mans due sorelle, Christine e Léa Papin (28 e 21 anni), da tempo a servizio come cameriere presso una famiglia borghese, in seguito ad un rimprovero per un banale incidente massacrano la loro padrona e la figlia: strappano gli occhi alle vittime ancora agonizzanti, ne seviziano i corpi e alla fine dormono nei loro letti.

Agli inquirenti non danno spiegazioni, preoccupate solo di condividere interamente la responsabilità del fatto.

Un delitto di efferatezza inaudita; un’aggressione feroce e terrificante divenuta nel corso dei decenni oggetto della curiosità di studiosi e letterati.

Tra questi, Fabio Brescia ha scelto di cimentarsi nella riscrittura di Genet, mettendo in scena (nella doppia veste di scrittore e interprete) al Nuovo Teatro Sanità (Napoli) Requiem per due serve, regia di Gerardo D’Andrea.

Come nella pièce di Jean Genet, Solange e Clare (Chiara nella versione di Brescia) sono le due serve ossessionate dalla loro padrona: esse idolatrano Madame, che è bella, raffinata e magnanima, ma la invidiano anche.

A lei lusso e agi consentono di vivere intensamente la propria femminilità, di esprimere una natura soave e sofisticata: cosa sono loro due, misere ed emarginate cameriere, al confronto?

Così, ogni volta che Madame esce, Chiara e Solange ne indossano le sontuose vesti e i luccicanti gioielli: ne recitano a turno la parte, pavoneggiandosi in giro per il ricco appartamento. Quando Solange fa Madame, Chiara fa la serva (ovvero Solange) e viceversa.

Un gioco di ruoli innocente: la sola, infantile distrazione nella vita mediocre condotta da due servette, qualcuno potrebbe osservare.

E invece un sentimento strano inizia a montare come panna avvelenata in quelle pantomime. Un’invidia morbosa, infarcita di rancore e astio, rapisce le due donne che, quasi senza accorgersene, superano il limite. Così, scrivono una serie di lettere anonime calunniando e denunciando Il Signore, l’uomo di Madame, facendolo arrestare e avendo campo libero per poter eliminare la padrona.

Proprio così: per poterla uccidere, liberandosi da quella assurda ossessione. Da una presenza così ingombrante, nella sua perfezione e inarrivabile bellezza. M

adame agli occhi delle serve è bella, sempre di più; perfino quando portano via in manette il Signore, ella raggiunge una specie di esaltazione nel dolore, esplodendo come una supernova in luce accecante.

Ma qualcosa nel piano diabolico di Solange e Chiara va storto: il Signore viene liberato per insufficienza di prove e così il veleno destinato a Madame finisce con l’uccidere qualcun’altra. Le due sorelle vivranno comunque il loro momento di gloria e riscatto: per ognuna un corteo, in pompa magna, rispettivamente funebre e giudiziario.

La riscrittura di Fabio Brescia rispetta la trama messa a punto da Jean Genet: Madame e le due serve, però, sono tre uomini che, recitando en travesti, connotano i personaggi in maniera più gretta, sporca e dura.

È questa l’originalità di Requiem per due Serve: le protagoniste parlano napoletano, sono prosaiche e ben consapevoli del marcio che hanno dentro. Dentro di loro non c’è più posto per l’amore (forse non c’è mai stato), ma solo per sentimenti immondi: sono cagne, mastini che possono impazzire e all’improvviso sbranare la mano tesa che ogni giorno gli dà cibo e carezze.

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